RICHIESTE D’IMPOSTA AI DIPENDENTI CONSOLARI: LA CTP DI MILANO ANNULLA L’AVVISO

Negli ultimi anni, l’attività di accertamento dell’Amministrazione finanziaria italiana ha preso di mira i dipendenti delle rappresentanze diplomatiche (ambasciate e consolati), che si sono visti recapitare avvisi contenenti richiesta di imposte (Irpef e addizionali) per gli anni pregressi.

Lo studio Orsini Taxlegal, esperto in fiscalità italiana e internazionale, ha rappresentato diversi destinatari degli avvisi davanti all’Agenzia delle Entrate nella fase pre-contenzioso e anche davanti alla Commissione Tributaria.

Di seguito, si riporta uno dei provvedimenti di annullamento emesso dall’Amministrazione finanziaria in favore del dipendente consolare e la sentenza passata in giudicato emessa dalla Commissione Tributaria Provinciale di Milano in favore di un altro dipendente consolare.


SEZIONE
N° 7
REG. GENERALE
N° omissis
UDIENZA DEL
10/10/2019
N° 5270/2019
PRONUNCIATA IL:
10/10/19
DEPOSITATA IN SEGRETERIA IL
9 DIC 2019

IL SEGRETARIO Repubblica Italiana
In nome del popolo italiano

La Commissione Tributaria provinciale di Milano
Sezione 7
riunita con l’intervento dei Signori:
Mainini                      Elisabetta                      Presidente e Relatore
Bertolo                       Roberto                         Giudice
Grossi                        Maria Rosaria               Giudice

ha emesso la seguente
SENTENZA
sul ricorso n. omissis
depositato il 10/05/2019
avverso AVVISO di ACCERTAMENTO n° omissis
avverso AVVISO di ACCERTAMENTO n° omissis
AG. ENTRATE DIREZIONE PROVINCIALE I DI MILANO

proposto dal ricorrente:
omissis
omissis

difeso da:
Orsini Angela
Via G. Cantoni 6 20144 Milano MI

Fatto e diritto
Con copia del ricorso depositato il 10\05\2019 la omissis ricorreva ai sensi del art, 17-bis D.lgs 546\92 con istanza di pubblica udienza e successiva istanza di sospensione contro l’Agenzia delle entrate, Direzione prov.le I di Milano per l’integrale annullamento degli avvisi di accertamento n. omissis per l’anno 2012 e n. omissis per l’anno 2013 e notificati il 29\11\2018, con i quali l’Ufficio, contestando la mancata presentazione della dichiarazione fiscale per diversi anni di cui, nella fattispecie, quali in esame, accertava ai fini IRPEF ed addizionali ex art. 41 bis DPr 600\73 il reddito di lavoro dipendente pari rispettivamente di €34.240,00 ed €33.849,00 per i due anni considerati. Ne eccepiva l’errata tassazione e determinazione del reddito di lavoro dipendente quale cittadina argentina, impiegata consolare presso il Consolato Generale della Repubblica Argentina in base alla esenzione prevista ai sensi del TUIR ed in ragione delle norme del diritto internazionale e della convenzione di Vienna sulle relazioni consolari del 24\04\1963.

Con gli avvisi di accertamento, seguiti ad un percorso di indagine relativi ai redditi da lavoro dipendente erogati da Ambasciate, Consolati ed altre organizzazioni internazionali, l’Ufficio controlli tramite i dati retributivi e contributivi comunicati all’INPS dagli enti ed organizzazioni che hanno sede in Italia, attingendo a tali dati verificava l’imponibile previdenziale ( Parte C del Cud ) rilasciato dal Consolato Argentino “copiandolo” a carico della ricorrente, quale reddito imponibile e senza depurarlo dei contributi a carico del dipendente, trattenuti dal datore di lavoro, ai sensi dell’art. 10 co.1 lett. e) TUIR, lo assumeva erroneamente quale reddito imponibile nella determinazione delle maggiori imposte interessi e sanzioni, che la ricorrente contesta nel calcolo, per violazione di legge, deducendo peraltro in diritto che i redditi erogati dal Consolato argentino sono esenti come documentato dalle certificazioni Cud 2013 e 2014 e anni successivi e non soggetti ad imposta né a dichiarazione.

L’Agenzia, respinto il reclamo, si costituiva in giudizio il 6\06\2019, chiedendo il rigetto del ricorso e condanna alle spese, pur dando atto della cittadinanza argentina della ricorrente e non contestando l’impiego consolare con retribuzione corrisposta e percepita a causa esclusiva dell’esercizio delle funzioni consolari.
Con memoria del 19\09\2019 la ricorrente, insiste nelle conclusioni del ricorso principale per illegittimità della pretesa nell’an e nel quantum, con integrale annullamento degli accertamenti in violazione delle norme di legge e con il riferimento della Convenzione di Vienna e norme di diritto internazionale; in subordine annullare tutte le maggiorazioni a titolo di sanzioni e interessi e rideterminazione del reddito con vittoria di spese.
L’Agenzia delle entrate, che nel frattempo aveva comunicato alla ricorrente una proposta di mediazione con totale annullamento delle sanzioni e scorporo dal reddito complessivo dei contributi previdenziali in relazione agli avvisi di accertamento per gli anni 2014, 2015 e 2016, depositava in data 8\10\2019, annullamento parziale in esercizio del potere di autotutela degli accertamenti impugnati anni 2012 e 2013 rideterminando la pretesa erariale a norma dell’art. 10 co. 1 lett. e) TUIR, deducendo dal reddito considerato gli oneri previdenziali a carico del lavoratore risultanti dal CUD in atti.
Tanto premesso, esaminati gli atti, il ricorso è fondato e merita accoglimento per i seguenti motivi.

L’Agenzia nonostante l’annullamento parziale degli avvisi in seguito all’errore commesso nell’accertamento, insiste per la tassazione della retribuzione accreditata dal Consolato argentino ritenendo la fattispecie regolata dalla specifica Convenzione (su Mod. di Convenzione OCSE) contro le doppie imposizioni fra la Repubblica Italiana e la Repubblica Argentina, ratificata con legge n. 282/1982 (art. 19-funzioni pubbliche)**, “ secondo cui i cittadini stranieri, anche se fiscalmente residenti in Italia, non sconteranno imposta sul reddito percepito dall’ente estero, sia per effetto della Convenzione di Vienna del 1963, sia per effetto dell’art. 4 comma 1 del DPR n. 601/73, purché la residenza fiscale in Italia sia stata acquisita solo in funzione della prestazione lavorativa svolta presso lo stesso ente estero”. La ricorrente, di nazionalità argentina rientrerebbe in questa ipotesi avendo avuto la residenza fiscale in Italia fin dal Giugno 1975 (all.4) e solo successivamente (dal 11 Aprile 1979) avendo iniziato a prestare servizio come impiegata consolare presso il Consolato Generale argentino.

L’Ufficio, con un margine d’apprezzamento del tutto discrezionale del disposto normativo ritiene cioè che la residenza fiscale della ricorrente non fosse temporalmente congrua con l’assunzione presso il Consolato, opinando che il certificato storico di residenza e la data di assunzione presso il Consolato medesimo fossero i soli elementi da dover correlare in un determinato lasso di tempo, deducendo che la mancata correlazione sarebbe elemento sufficiente per ritenere che la residenza in Italia non fosse funzionale alle attività consolari svolte dalla ricorrente sin al suo arrivo in Italia nel 1975.
La motivazione è pretestuosa, destituita di fondamento e smentita dalle stesse Convenzioni internazionali richiamate dalla Agenzia, nonché dal complesso delle norme del ns sistema costituzionale e ordinamentale, conformantesi al riconoscimento delle fonti del diritto internazionale e degli accordi e trattati ratificati, facenti parte dell’Ordinamento giuridico italiano.

**Art. 19 Funzioni pubbliche
1 a) Le remunerazioni, diverse dalle pensioni, pagata da uno Stato contraente o da una suddivisione politica o amministrativa o da un suo ente locale a una persona fisica, in corrispettivo di servizi resi a detto Stato o a detta suddivisione od ente locale, sono imponibili solo in detto Stato.
b) Tuttavia, tali remunerazioni sono imponibili soltanto nell’altro Stato contraente qualora i servizi siano resi in detto Stato e la persona è residente di detto Stato:
i) abbia la nazionalità di detto Stato; o
ii) non sia divenuta residente di detto Stato al solo scopo di rendervi servizi.

L’esenzione è del resto di palmare evidenza ex art. 49 della Convenzione di Vienna sulle Relazioni Consolari del 24/04/1963***, ratificata con legge 9/08/1967 n. 802 (entrata in vigore il 25/7/1969), rappresentante una fonte normativa speciale che deroga alla disciplina nazionale in tema di tassazione: essa prevede un’esenzione da imposizione legata alla cittadinanza estera del funzionario anche se lo stesso e la sua famiglia sono fiscalmente residenti in Italia.
Come specificato dalla norma l’esenzione da tassazione riguarda esclusivamente i redditi percepiti nello svolgimento del proprio incarico del funzionario di rappresentanza consolare, mentre non rientrano nel regime di esenzione i redditi derivanti dalla sfera privata, come ad esempio gli investimenti immobiliari, derivanti da partecipazioni, investimenti finanziari, etc. redditi che rimangono sottoposti alla tassazione prevista dalla normativa fiscale dello Stato “ospitante”.
Lo stesso articolo 4, comma 1 del DPR n. 601/73 – Rappresentanze estere – e richiamato dall’Agenzia recita: ”” I redditi degli ambasciatori e degli agenti democratici degli Stati esteri accreditati in Italia, derivanti dall’esercizio della loro funzione sono esenti dalla imposta sul reddito delle persone fisiche e dall’imposta locale dei redditi. L’esenzione stabilita nel comma precedente si applica a condizione di reciprocità anche ai consoli, agli agenti consolari e agli impiegati delle rappresentanze diplomatiche e consolari degli Stati esteri, che non siano cittadini italiani, né italiani non appartenenti alla Repubblica”.

Pertanto l’esenzione, che per essere applicata deve essere prevista anche nell’altro Stato per i funzionari italiani in quello Stato, è condizionata dal fatto che tali soggetti non siano cittadini italiani e che non appartengano alla Repubblica italiana.
In conclusione, il cittadino estero, come la ricorrente, che non risulta aver redditi di altra natura, ancorché fiscalmente residente in Italia, non dovrà scontare le imposte sul reddito corrisposto dalla Rappresentanza diplomatica presso cui è impiegata, non solo in virtù della predetta Convenzione di Vienna del 1963, ma anche ai sensi della normativa interna italiana, di cui all’articolo 4, comma 2, DPR n. 601/1973.

*** Art. 49 Esenzione fiscale
I funzionari consolari, gli impiegati consolari e i membri della loro famiglia viventi nella loro comunione domestica sono esenti da ogni imposta e tassa, personali o reali, nazionali regionali, regionali e comunali, eccettuali:
le imposte indirette di natura tale che sono ordinariamente incorporate nei prezzi delle merci o dei servizi;
le imposte e le tasse sui beni immobili privati situati nel territorio dello Stato di residenza, riservate le disposizioni dell’articolo 32;
i diritti di successione di mutazione riscossi dallo Stato di residenza, riservate le disposizioni del paragrafo b dell’articolo 51;
le imposte e le tasse sui redditi privati, compresi i guadagni in capitale, che abbiano la fonte nello Stato di residenza, e le imposte sul capitale riscosse sugli investimenti fatti in imprese commerciali o finanziarie situate nello Stato di residenza;
le imposte e le tasse riscosse a rimunerazione di servizi particolari resi;
i diritti di registro, di cancelleria, d’ipoteca e di bollo, riservate le disposizioni dell’articolo 32.
I membri del personale di servizio sono esenti dalle imposte e dalle tasse sulle mercé di che ricevono per i loro servizi.

Nel caso in esame la ricorrente prova che fin dal suo ingresso in Italia 1975 si è occupata delle operazioni relative all’avvio del neo ufficio denominato Oficina Comercial del Consolato Argentino; v’è dichiarazione (all.2) del Console Generale del 26/09/2018 che la Signora presta servizio come impiegata consolare dal 1979 (il che non esclude né pregiudica la collaborazione iniziale per l’avvio della sezione Economica consolare); dichiarazione che la retribuzione per lo svolgimento delle mansioni in detta qualità rientrano nella categoria contemplata nella Convenzione di Vienna del 24/4/1963 sulle relazioni consolari; che le retribuzioni correnti e differite al personale assunto presso il Consolato generale Argentino a Milano sono corrisposte direttamente dallo Stato argentino con fondi stanziati provenienti dal bilancio dello Stato Argentino destinati alle missioni consolari all’estero.
Non può pertanto sostenersi per documentazione ed excursus evidenziati, che la ricorrente, con cittadinanza argentina dalla nascita abbia omesso la dichiarazione dei redditi ai fini IRPEF, in considerazione della fonte estera delle retribuzioni percepite, corrispostele quale funzionario consolare e non suscettibili di imposizione in Italia in quanto erogati dal Consolato argentino, esenti e/o esclusi per status.

Peraltro la certificazione fiscale rilasciata dal Consolato, comprovava fin dall’origine l’errato approccio da parte dell’Agenzia: i CUD 2013 e 2014 indicano i suddetti redditi nella sola parte C della certificazione indicante i dati previdenziali ed i contributi trattenuti a carico della lavoratrice; mentre è vuoto il quadro B riservato ai dati fiscali, i cui spazi destinati ai redditi percepiti, ritenute operate a titolo Irpef, addizionali ed acconti dovuti, non sono stati compilati dal Consolato Argentino in ossequio al fatto che non fossero assoggettabili in Italia per essere il percettore cittadino argentino svolgente quivi funzioni consolari.
Il successivo CUD 2017 rilasciato dal Consolato Argentino nell’ulteriore quadro “Altri dati” riporta infatti l’ammontare degli stipendi corrisposti alla ricorrente tra “i redditi esenti”.
Stante la soccombenza, le spese di lite, liquidate come in dispositivo, restano a carico dell’Agenzia delle entrate.

P. Q. M.
La Commissione accoglie il ricorso e per l’effetto annulla gli atti impugnati. Condanna l’Agenzia delle entrate al pagamento delle spese del giudizio che liquida in € 2.500,00 oltre accessori di legge e c.u.t.

Milano, 10/10/2019
Il Presidente relatore est.

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